La scrittura musicale occidentale nasce storicamente come mnemotecnica: tecnica al servizio della
memoria; memoria al servizio della pratica musicale, pratica musicale al servizio dell'anima,
affinché, come ci esorta Agostino, “purgata atque exonerata, revolet ad quietem, et intret in
gaudium Domini sui” (De Musica 6, 14, 43). È evidente, però, che le nozioni di tecnica, scrittura e
pratica musicale non sono affatto ovvie, come non sono ovvie le relazioni che fra esse si instaurano.

La scrittura come mnemotecnica nasce per definire l'identità del canto liturgico: identità del testo
che garantisca l'identità dell'interpretazione. Ciò che il canto esprime deve essere definito nel segno
del potere dell'istituzione religiosa. Il segno è giuridicamente legato a un significato e su questa
relazione il potere esercita il suo dominio.

La nozione di scrittura come tecnica della memoria ha ceduto il posto, nelle epoche più vicine a noi,
alla nozione di scrittura come tecnica al servizio della creatività individuale del compositore. La
partitura musicale diventa, con orribile espressione, “veicolo segnico”. Se il pensiero/volontà
dell'autore è l'epicentro di questa semiotica, la questione si riduce a un problema di viabilità:
in che modo ciò che è nel pensiero-interiorità dell'autore riesce, transitando per la scrittura e per
l'interiorità di un interprete, a raggiungere l'interiorità dell'ascoltatore.

Questa ideologia nasconde, però, contraddizioni insanabili. La scrittura non è, infatti, una specie del
genere tecnica, e neanche la presuppone perché, come istituzione della differenza e del
differimento, mette in crisi le stesse condizioni di possibilità del puro trasferimento di una
Bedeutung, di un “voler esprimere”. La scrittura è inevitabilmente parricidio. L'aveva perfettamente
compreso Platone: in assenza del padre non è in grado di mantenere la retta via. Un parricidio, però,
che apre alla creatività: l’esecutore può essere finalmente riconosciuto come interprete.


Cade così il carattere rigidamente oppositivo fra scrittura e improvvisazione, la quale non può
essere più pensata in termini di mancanza di progettazione nel suo esaurirsi in una spontaneità
dell’istante. L’opera compiutamente scritta apre un infinito orizzonte interpretativo al pari di una
performance di improvvisazione “libera”. Siamo comunque costantemente in dialogo interpretativo
con il suono dell’altro come con il nostro stesso suono. Si manifestano così aspetti
dell’interpretazione in cui si richiedono decisioni non pre-scritte da una tradizione di scrittura
rigidamente notazionale: decisioni che sotto molti aspetti si possono considerare anch’esse
compositive.

Il programma che qui proponiamo offre un’interessante testimonianza del carattere dialogico del
rapporto fra scrittura e improvvisazione. Si tratta di un importante repertorio musicale in cui la
scrittura suggerisce ampi spazi improvvisativi. Alcuni brani sono stati scritti per “I virtuosi di
Nuova Consonanza”, gruppo nato all’interno dell’omonima associazione e del quale faceva parte
uno dei nostri solisti. I compositori a cui ci siamo ispirati sono: Luciano Berio, Francesco Donatoni,
Giacinto Scelsi, Sylvano Bussotti oltre che a noi stessi.

Michele Lomuto